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mercoledì 4 febbraio 2015

JOTA TRIESTINA




Questo minestrone è il più triestino dei piatti tipici giuliani, ed anche il più caratteristico. Si suppone che fosse presente a Trieste già nel 1500, ma la sua forma attuale è più tarda: risale all'epoca della provenienza dei fagioli rossi dall'America, quando questi soppiantarono il "fagiolo con l'occhio".
Probabilmente la jota nasce dal caso, con la miscelazione di "capuzi garbi in tecia" e fagioli già cotti. Jota, infatti, viene dal tardo latino "jutta " che significa appunto "intruglio". Si sa che nel 1890 veniva preparata esattamente come oggi.

     Ingredienti per 4 persone

300 g di fagioli. A casa mia, sempre usati i "borlotti stregoni" che danno un colore più scuro alla minestra. In mancanza, semplici borlotti.
2 spicchi d'aglio sbucciati e schiacciati
2 foglie di alloro
1 pezzo di maiale affumicato ( costina )
100 g di cotenna di maiale fresca, in un pezzo
sale e pepe
circa 2 l d'acqua

Lessare i fagioli, già ammollati a lungo, con tutti gli ingredienti a partire da acqua fredda, portata a bollore con fuoco vivace, subito ridotto al minimo. Portare a cottura a pentola coperta, aggiungendo eventualmente acqua bollente per mantenere il livello costante.

     Capuzi garbi  =  crauti acidi

A Trieste la prima notizia sicura della presenza dei "capuzi garbi" risale al XV secolo, quando in città arrivarono commercianti, pellegrini e avventurieri tedeschi. La cucina ne fu profondamente segnata, per cui oggi, nell'ambito della gastronomia italiana, i "capuzi garbi" stanno alla cucina triestina come il "pesto" sta alla cucina genovese: sono uno stemma, un distintivo, un certificato d'origine controllata.
Naturalmente una volta venivano fatti fermentare in casa. Ma oggi si trovano in commercio prodotti di ottima qualità. Io li compero in scatola ( ce ne sono anche sfusi ), al naturale, cioè semplicemente inaciditi e crudi. Sgocciolo solo parzialmente il liquido contenuto. Strizzandoli troppo perdono l'acido e diventano poi insipidi al nostro gusto: la minestra deve conservare il sapore acidulo di fondo.



CRAUTI

500 g di capuzi garbi
1 spicchio d'aglio tritato
2-3 cucchiai d'olio ( veramente andrebbe strutto )
100 g di pancetta affumicata in un pezzo ( io metto anche 2 buone salsicce )
cumino
una foglia di lauro
sale e pepe

Rosolare l'aglio nel grasso, versare i crauti e farli insaporire mescolandoli un po'. Aggiungere il resto degli ingredienti e pochissima acqua. Coprire e cuocere a lungo a fuoco molto basso, aggiungendo ancora un po' d'acqua quando sono diventati troppo asciutti e minacciano di attaccarsi al fondo della pentola. Questa dovrebbe essere di coccio...Comunque mai di alluminio. Vanno cotti molto a lungo, finchè assumono un colore leggermente dorato. E più volte vengono nuovamente riscaldati, più diventano buoni. La "leggenda" parla di sette volte...



A questo punto si può finalmente pensare alla minestra che sarà composta da:
300 g di fagioli precedentemente lessati e il loro liquido di cottura, nel quale si versano 
300 g dei capuzi garbi già cotti, assieme alla pancetta e
300 g di patate crude, pelate e tagliate a pezzi grossolani

A fuoco basso e coperta, si continua a cuocere la minestra fino a cottura delle patate, regolando - se necessario - la sapidità.


 LA  JOTA  COL  TERAN




 
Compare ga una casa in altipiàn,
con campagna e un bel toco de giardin:
el gaveva bisogno de una man
in cambio de una jota e de bon vin.
Xe un teren maledeto, seco e duro,
con piere in punta, con radisi e zochi:
fadiga, oio de comio! Fin col scuro
gavemo piconà, se iera in tochi.
Borin sufiava e ierimo iazzai,
ma de quela selvadiga de tera,
de l'erbe, graie e rami scavezzai
vigniva su i profumi dela sera.
Iera neve sui monti oltre confin,
sul mar luseva fiame del tramonto
e menta e timo e salvia e rosmarin
mandava aromi che no ga confronto.
L'aria del Carso ne vigniva incontro
e anca, con 'sti effluvi, odòr de jota:
"Presto in tola che tuto qua xe pronto!"
La minestra la iera assai ben cota.
Stanchi, afamai, col stomigo a chitara,
schena de mandolìn, gambe de strazza,
mani de piombo, vista meno ciara,
se scaldavimo el cuor con la vinazza.
E credo che nissun gabi zercà
piato più bon de 'sto magnàr nostràn,
né che mai omo possi aver gustà
sugo de vida meio che el teràn.

                                                                  Di   Laura Borghi Mestroni
                                                               tratto da " La vita xe un valzer "




               "   Xe un teren maledeto, seco e duro,
                  con piere in punta, con radisi e zochi: "

 ..... è il nostro Carso... così!


 L'immagine può contenere: albero, pianta, cielo, spazio all'aperto e natura


domenica 4 maggio 2014

GELATINA PASQUALE




Lo so, la Pasqua è passata da un bel po', ma nessuno vi impedisce di fare questa gelatina quando ne avete voglia. A Trieste era un piatto immancabile come antipasto del pranzo pasquale; ora sta andando in disuso, forse perché - anche se squisito - è decisamente lungo da preparare: ci vogliono undici buone ore.
A me piace moltissimo, come mi piacciono le tradizioni che tento di passare alle nuove generazioni. Mi ricorda la mia nonna paterna, che per Pasqua faceva sempre la gelatina nei piatti fondi e, in quanto a dolci, partiva da sette chili di farina e da una montagna d'uova. Regalava una pinza a tutti quelli che venivano a farle gli auguri. Le arrostiva nel forno a legna, ed era famosa nel vicinato, tanto che più di una vicina le portava la propria pinza da arrostire.
La foto sopra vi mostra la trasparenza della gelatina ormai raffreddata ( niente frigo! ) e consolidata.






La ricetta che ho è per 20 persone. Io ho abbondantemente ridotto le quantità per arrivare a 10 porzioni, circa. Ma non ho ridotto i primi tre ingredienti, perché troppo importanti per la formazione finale della gelatina.

     Ingredienti

1 piedino di vitello con la pelle
2 piedini di maiale tagliati a metà per il lungo
1/2 kg cotenne fresche di maiale
2 orecchie di maiale
3-4 ginocchia di vitello
4 ossa con midollo
2 carote intere
2 cipolle intere con la buccia
le foglie e i gambi di 2 sedani rapa o 2 sedani bianchi interi
una generosa manciata di prezzemolo con i gambi
un po' di maggiorana ( io l'ho messa fresca )
3-4 chiodi di garofano
una manciata di pepe nero in grani
sale

     Inoltre

1 stinco di maiale
4 foglie di alloro
1 kg di prosciutto tipo Praga in un solo pezzo
1 lingua di vitello salmistrata
10 uova sode tagliate a metà ( non le ho messe, perché mia nonna non usava )
altre 20 foglie di alloro
3 o 4 albumi

 


     Preparazione

Raccogliere tutte le verdure in una tela bianca e rinchiuderle con uno spago da cucina. Collocare il sacchetto in un pentolone assieme a tutti gli altri ingredienti, sale compreso. Coprire con acqua fredda in modo da superare il livello degli ingredienti di buoni 10 cm.

     Cottura

Coprire il pentolone e metterlo su fuoco forte finché arriva a bollore, poi ridurre il calore e cuocere - sempre coperto - per 4 ore, schiumando quando necessario.
Aggiungere ora lo stinco di maiale e 4 foglie di alloro, e continuare la cottura per due ore, sempre coperto.
A questo punto si passa il brodo, buttando il sacchetto e tenendo il resto. Si filtra il brodo due volte attraverso una tela, e lo si rimette al fuoco per altre due ore, questa volta a recipiente scoperto. Nel frattempo si tagliano a fettine sottili il prosciutto e la lingua, a strisce le cotenne, le orecchie, lo stinco e i vari piedini. Si distribuisce il tutto nei piatti ( una volta, appunto, si metteva la gelatina nei piatti fondi ), aggiungendo l'uovo sodo.
Quando il brodo si sarà ristretto, vi si versano gli albumi montati a neve soda, si mescola e si filtra nuovamente attraverso una tela fine. Si regola la sapidità che deve essere accentuata. Si versa finalmente la gelatina ancora calda nei piatti, con attenzione per non rimuovere la carne, ricoprendola. Si lascia raffreddare ( non occorre assolutamente metterla in frigo ), e prima che si rassodi del tutto si infila in ogni piatto una foglia di alloro fresco e si macina sopra un po' di pepe che deve solo aderire alla superficie.